(tranne dove diversamente specificato, tutti gli articoli sono tratti da Il Napolista - informazione e analisi politico - calcistica)

martedì 2 novembre 2010

Lo strano vizio del mio amico Gino


ottobre 30th, 2010

Io il pallone pure lo guardo. Poco, ma lo guardo. Seguo tutte le partite del Napoli, perché sono di Napoli e proprio non lo so come si possa fare il tifo per un’altra squadra. Però non mi venite a parlare di stadio, di trasferte e allenamenti perché non fa per me. Io sono un tifoso pigro e come tale la partita me la vedo a casa, con l’aria climatizzata, il culo sul sofà ed il telecomando. E poi scusate, ma io proprio non la capisco tutta sta frenesia, tutta sta smania e tutto sto clamore. Ma veramente ci si può innamorare del pallone? Che poi uno che s’era innamorato io me lo ricordo. Un vecchio compagno mio di scuola, un bravo ragazzo. Solo con questo strano vizio del pallone. Tifosissimo del Napoli che non ci si poteva parlare, sapeva a memoria i nomi dei giocatori, aveva l’abbonamento in curva B e non si perdeva una partita. Ma quando arrivò Lui, la passione divenne tarlo, fobia, ossessione. Lo rincorreva prima e dopo gli allenamenti. Cercava di fermare la sua corsa, di farlo scendere dall’auto, di averlo ‘faccia a faccia’ così, una volta sola, per dichiarargli finalmente il suo amore. Un pò come Piquè e Ibrahimovic, ma meno tenero e molto, molto più passionale. Solo che quello di Gino, il mio amico, era un amore a senso unico e infatti finì subito, ancora prima di cominciare. Un giorno l’aspettava fuori dal cancello azzurro del Centro Paradiso, deciso a mettere fine alle sue sofferenze. Lui arrivò col suo Mercedes fiammante, i capelli appena lavati, i ricci vaporosi, la barba fatta, più bello che mai. Gino gli si parò davanti alla macchina, pronto a tutto. “Diego, Diego” comincio ad urlare. Lui fece per ripartire. “Diego, Diego” e la voce era accompagnata dai pugni sul cofano della Mercedes. “Diego, Diego!” e ancora pugni… E finalmente Lui si fermò, abbassò il finestrino, puntò i suoi grandi occhi neri in quelli di Gino che quasi si scioglieva e disse: “Hijo de Puta!”. “Diego, Diè…, Diego a b….’e mammeta!”, rispose Gino colto di sorpresa. Da quel giorno, il mio amico, disertò lo stadio e il centro Paradiso. Un mio cugino di Roma giurò di averlo visto, qualche tempo dopo, a bordo di una cabriolet di lusso in giro per Trigoria, felice come una Pasqua, al fianco di un giovanotto biondo e riccioluto che i passanti chiamavano Falcòn.

(Gianluca Maria Marino per "Ho visto Maradona -
Un tributo creativo-letterario")

mercoledì 6 ottobre 2010


Mio fratello è figlio unico...due volte l'anno...

La testa alta ed un sorriso tipo durbans sulle labbra. Niente volgarità, niente sfottò nè gesti irriverenti. Però, che classe sti Napolisti in trasferta. Che lezione di stile, che sobrietà, che gusto. Mi sono detto: “Non esiste Gianlù, ti devi allineare! Non puoi essere da meno”. Dice: “Ma tu che centri? Mica sei fuori? Mica ti hanno esiliato nella capitale?”. Ma quale esilio? Ma di che Roma parli? La verità è che sono perseguitato in casa da trent'anni! Deriso, provocato, umiliato, oppresso e molestato da un fratello di provata fede giallorossa. Un lupacchiotto di vecchia data. Un napoletano romanista. Un burinaccio di acquisizione. Uno che prima tifa Roma e poi odia Napoli. Un antinapolista per eccellenza e ho detto tutto. Ma non ho resistito. Ho ceduto quasi subito alla mia sete di vendetta e l'ho telefonato, senza aspettare il tempo che lo facesse lui. Gli dico: “Pronto Frà?”. “Ma chi è?” fa lui. “Come chi è? So' tuo fratello!”. “Marcello chi?”. “Ma qua' Marcello, TUO FRATELLO!”. “Uè Gianlù, ti sento male! Ti chiamo dopo io!”. E così ho atteso invano tutto il pomeriggio che mi richiamasse . Poi verso sera, ma tardi che avevo quasi spento il cellulare, mi arriva questo striminzito messaggino: “Il primo tempo siamo stati superiori. Poi la partita l’ha persa l’allenatore. A Roma sarà tutta un'altra storia!”. "M'ha fatto!" penso là per là "Neanche lo sfizio di infierire!". Poi a mente fredda ci ragiono: "Sai che goduria batterli all'Olimpico?".
Metto in memoria l'SMS e c'è mio padre che mi guarda sulla porta: "Ancora sveglio, ancora co' sto cellulare?". "Non preoccuparti Pà, stanotte dorme tranquillo!". Sento i suoi passi allontanarsi in corridoio e anch'io sorrido. Chissà se avrà capito l'allusione. La sua Inter ha appena steccato in casa con la Vecchia Signora. La classifica ci vede culo e camicia con la "detentrice".
Spengo la luce. La testa sul cuscino...Il bello deve ancora venire...

(di Gianluca Maria Marino)

mercoledì 29 settembre 2010

"The show must go on"


28th, set, 2010
“The show must go on!” Hai voglia di stare a lambiccarti il cervello, tipo: “Fermate la giostra, bucate il pallone!”. E anche: “Macché, è tutto grasso che cola!”. E così mentre qualcuno è già cotto alla quinta, qualcun altro se ne sta in poltrona ad aspettare l’ennesimo fischio d’inizio. E chi se ne frega se i calciatori arrancano, gli scommettitori inventano e i Napolisti non si raccapezzano più. “The show must go on!” cantano i presidenti mentre gongolano e si fregano le mani di giorno e di notte studiano l’ultima alchimia per scongiurare un’ improbabile crisi da rigetto, che tanto si sa di calcio non è mai morto nessuno. E siccome alla fine il fine giustifica i mezzi, qualsiasi diavoleria è concessa purché ci incolli dinanzi ad uno schermo piatto o al seggiolino lurido e traballante di una tribuna. E succede che, a guardare bene, è proprio un’aquila quella che sorvola il cielo dell’Olimpico. Un’ aquila in penne ed ossa che fa il giro e torna indietro. Come al circo. E come il circo, pure il mondo del calcio ha i suoi pagliacci. Ad ogni squadra il suo…Meno male che Fechella è morto da un pezzo, sennò sai quante umiliazioni per il povero Ciuccio convalescente!…

di Gianluca Maria Marino

giovedì 23 settembre 2010

Vita, ciorta e miracoli di Byron Moreno


23nd, set, 2010
E chi lo ha detto che un esportatore di eroina debba per forza essere un arbitro corrotto? E’ giusto. Ma voi designereste “direttore di gara” uno che ha marchiato così pacchianamente la sua fedina penale? Che poi il mestiere di arbitro già non si addice a un tipo con il fisico del Sergente Garcya e l’acconciatura alla Nembo Kid. Lo sguardo da pesce lesso e l’espressione ebete del piu’ alto dei Fratelli Dalton. A parte la tenuta atletica, ma cacchio pure l’occhio vuole la sua parte. E allora quanti sensi dobbiamo scomodare prima di arrenderci serenamente alla realtà dei fatti? Un mondiale sconcertante quello del 2002 e non soltano per i nostri colori. In pochi giorni fece ricredere gli spagnoli che già ci avevano bollati come piagnoni. Un ritorno meschino in patria, dove per aggiustare un risultato non esitò a decretare tredici minuti di recupero, il tutto per favorire la squadra della città nella quale si era candidato. Non fu eletto naturalmente, ma quella bravata gli costò un’inchiesta della Federazione e successivamente la radiazione. "Meno male che ero io quello corrotto" ci sbeffeggiò Lord Byron all’indomani del caso Calciopoli. E ancora: “Se volete vengo in Italia ad arbitrare...", prima che qualche volpone nostrano gli offrisse decine di migliaia di dollari della nostra televisione pubblica, affinché venisse in Italia a fare l’idiota in mezzo alle immancabili ballerine. Poi il viaggio in America. Un’idea stramba. Sei chilogrammi di eroina nelle mutande e quell’espressione, sempre la stessa, per cercare di giustificarsi: “Avevo un appuntamento galante” pare abbia detto ai doganieri americani “Non volevo fare brutta figura!”.

di Gianluca Maria Marino

giovedì 2 settembre 2010

A proposito di speranza




Sosa e Yebda, il prezzo della scommessa Napoli

2nd, set, 2010
Restiamo, dunque, aggrappati a una speranza. Così ci suggerisce pure il buon Carafa. E la speranza, si sa, è l’ultima a morire. Quella dei tifosi, poi, muore un attimo dopo. E quanto a quella dei napoletani, forse, nemmeno muore, perché fa parte della tradizione, delle informazioni genetiche che si tramandano di generazione in generazione. Nella fattispecie la speranza si regge su due nomi. Uno, piuttosto semplice e familiare, che ci riesce già rassicurante. L’altro, di una scaglia più complicato, dal suono esotico e misterioso, che ci solletica la curiosità. Sosa e Yebda sono la chiave di lettura dell’intera campagna acquisti del calcio Napoli, ma non solo. Sono il rischio che comporta l’investimento. Il prezzo della scommessa. I perni stessi intorno ai quali ruota l’intera stagione degli azzurri. Cavani? Sarà la punta di diamante. La prima donna. Il cecchino infallibile. Ma tutto questo, perdonatemi la presunzione, è già una splendida certezza. Il mistero, invece, si svela attorno a quei due. Saranno la tessera che completa il mosaico o la goccia che fa traboccare il vaso? La ciliegina sulla torta o l’ultima carta che si tira giù il castello? Staremo a vedere. Intanto, ingoiamo il rospo e…speriamo bene. Però attenzione Presidente! Parli chiaro. Da noi si dice: “Chi vive sperando, muore disperato”. Non so lei, ma per noi avremmo immaginato tutt’altra fine.

di Gianluca Maria Marino

martedì 13 luglio 2010

"The winner is..."


12th, lug, 2010

Prima di tutto doveva essere il mondiale del Brasile, la riscossa della “Seleção pentacampeón”, una squadra stellare in grado di vincerle tutte, di lasciare agli altri le briciole e a noi la mera cronaca di una vittoria annunciata. E’ finita con l’esonero del “Cucciolo”, gli insulti dei tifosi a Felipe Melo e la performance di Julio Cesar che interpreta Robertino nella scena cult in cui scoppia a piangere da mammina. Immagini raccapriccianti che mai avremmo voluto vedere. Poteva essere il mondiale della corazzata inglese agli ordini dell’italianissimo Capello. Poteva, ma non è stato. E’ finita con l’impeachment al “sergente di ferro” che nella migliore tradizione tricolore, dinanzi al più plateale dei fallimenti, ha dignitosamente, orgogliosamente e disinteressatamente rifiutato le dimissioni. Avremmo voluto diventasse il mondiale di Diego, della sua personalissima rivincita, umana prima e sportiva poi. L’avremmo voluto in tanti, noi inguaribili romantici abituati ad andare lì dove ci porta il cuore. Ma quanti in realtà ci hanno creduto fino in fondo? Quanti ci avrebbero scommesso?…e quanti altri, invece, erano pronti a sparare sulla croce rossa dopo averlo deriso, osservato, osannato e poi abbandonato? Non doveva essere, ma se invece fosse stato ancora il mondiale di Lippi e della sua Italjuve? Sarebbe entrato nella storia. Avrebbe uguagliato il mito di Pozzo e i cinque tituli del Brasile, costretto la federazione a rivedere la patch sulla maglia e noi, critici senza riconoscenza, giù dal carro della festa, a elemosinare immagini e dichiarazioni, a vedere ma non toccare. Fantascienza. Troppo presto abbiamo riposto gli occhialini 3D e gettato all’aria il secchiello coi popcorn. Troppo scontato il finale: non doveva succedere, non è successo. Infine, abbiamo visto salire e poi crollare le quotazioni delle squadre africane. Ci siamo quasi rassegnati all’ennesimo trionfo sudamericano e poi stupiti di fronte alla riscossa del vecchio continente, in questo assurdo giochino di affibbiare a tutti i costi una connotazione geografica al gioco del pallone. Insomma, in un tripudio di pronostici, presentimenti e illustri opinioni, ognuno ha immaginato il suo mondiale che, invece, mosso da un puntuale spirito di contraddizione, più andava avanti e più sembrava annientare certezze ed annullare differenze in campo, con buona pace degli estrosi scommettitori e degli appassionati di emozioni forti. Ma allora, a poche ore dalla finalissima, ci sarà pure un vincitore morale di questa entusiasmante, caotica e bizzarra edizione africana del campionato mondiale di calcio?

di Gianluca Maria Marino

sabato 3 luglio 2010

“Il calcio è morto…Viva il calcio!”



3rd, lug, 2010

Già me li vedo adesso i gallinai dei professionisti della critica, le mani avanti dei tuttologi del pallone, pronti a ‘buttare via il bambino con l’acqua sporca’. “L’eliminazione del Brasile è il giusto epilogo di un mondiale mediocre!”…”I campioni strapagati dai clubs hanno snobbato la competizione”…”Le grandi federazioni hanno fallito”… “Lo spettacolo latita, lo share è ai minimi storici!”. Troppo comodo, fin troppo facile, niente di più lontano dalla realtà. Mentre scrivo due grandi squadre si sono giocate le semifinali, dando vita ad un match memorabile. Altre quattro, oggi faranno lo stesso. Queste squadre, assieme all’Olanda già qualificata, in questo momento, rappresentano il meglio del calcio mondiale. Ci piaccia o no, fra queste mancano Italia, Francia, Inghilterra e Brasile. Manca, cioè, la storia stessa dei mondiali. Ma questa considerazione, anche se ha dell’incredibile, di certo non toglie meriti a chi vince, semmai li amplifica. Vivaddio il calcio si evolve. Le sue certezze implodono. Il suo verbo si diffonde al di là dei soliti confini. La storia si riscrive ma, al netto dei cambiamenti, rimangono inalterate la bellezza, il fascino e l’emozione che solo questo sport è in grado di trasmettere, nonostante la payperview e malgrado gli higlights in differita. Il pallone è rotondo. A volte rotola da una parte, a volte dall’altra. L’importante è che ci faccia divertire. Non so voi, ma che sia al cuore dell’europa o alle falde del kilimangiaro, io ancora ci riesco a farmi emozionare da una palla.

(di Gianluca Maria Marino)

mercoledì 2 giugno 2010

Lettera a Fabio valigia pronta ma non per le ferie


2nd, giu, 2010

Sarà dura rimettere le cose apposto. Chiudere quella valigia piena di speranze riposte. Accanirsi sulla zip che stenta a chiudersi sopra il disordine della biancheria ammucchiata troppo in fretta. La stessa fretta di volare via, di lasciarsi tutto alle spalle, di non pensarci più. La fretta di tornare a casa, di gettarsi tra le braccia di un padre deluso e innamorato per piangere insieme, stretti e costretti come una cosa sola. Sarà dura salutare i compagni, quelli che restano. Sentire le frasi di circostanza, quelle di chi rimane al posto tuo. Sorridere e stridere, senza ascoltarne davvero nemmeno una. Sarà dura vederli scherzare tra di loro, stravaccati sulle poltroncine in pelle della hall. Digerire i visi lieti e distesi di chi ce l’ha fatta. Fingere di non odiarli, anche soltanto per poche ore. E sarà dura rivedere le immagini di una stagione nel finestrino striminzito di un aereoplano. Soffermarsi su un errore, maledire un attimo. Pensare a quello che poteva essere e che non è stato.E allora sarà troppo facile, invece, cedere alla stanchezza. Poggiare la testa contro il vetro. Chiudere gli occhi e lasciarsi andare…

…E sarà così dolce il risveglio. Il sorriso di una hostess, il benvenuto in una lingua che non conosci. Le immagini di un paese nuovo, visto per la prima volta dalla scaletta dell’aereo. La sicurezza di esserci. La soddisfazione nei pugni chiusi e quel sospiro di sollievo…L’incubo è finito. Adesso comincia un sogno ad occhi aperti!….

(di Gianluca Maria Marino)

mercoledì 26 maggio 2010

Saviano eroe o moda? La sinistra apre il dibattito


26th, mag, 2010
Siete tra quelli che quando si ritrovano nel bel mezzo di una discussione su Saviano sono costretti a tacere altrimenti sarebbero immediatamente allontanati dal consesso con l’accusa di essere fiancheggiatori della camorra? Allora correte in libreria. E chiedete l’ultimo saggio di Alessandro Dal Lago, sociologo di sinistra, quella doc, quella di Micromega e del manifesto che gli ha persino pubblicato il libro dal titolo inequivocabile: Eroi di carta, sottotitolo Il caso Gomorra e altre epopee. È l’opera che fa al caso vostro. Come al solito, la messa in discussione di un dogma di sinistra in questo paese può avvenire solo da sinistra. Non sia mai l’avesse scritto un autore tacciato anche lontanamente di vicinanza a Berlusconi, sarebbe stato chiesto il ritiro del libro. Ma il pedigree di Dal Lago non lascia adito a dubbi.E allora eccoci di fronte a centocinquanta pagine che smontano quella che l’autore definisce «una bolla comunicativa senza precedenti», abilmente sintetizzata nella frase che campeggia sulla quarta di copertina: «I lettori di destra, centro e sinistra, dopo aver letto Gomorra si convinceranno di aver contribuito alla lotta contro il crimine organizzato, potranno dormire sonni tranquilli e tornare alle loro occupazioni. Ma, com’è noto, le mode vanno e vengono».L’analisi di Dal Lago è tanto impietosa quanto particolareggiata, condotta con metodo scientifico. Definisce quella di Saviano «una retorica basata sul senso di colpa (retorica che, in un paese cattolico come l’Italia, suscita facilmente il plauso)»; scrive che «l’inclusione di Saviano nel martirologio fa sì che chiunque non si allinei sia di fatto considerato un alleato dei camorristi»; analizza la costruzione del libro: «come docu/fiction, ovvero narrazione ?a piega?, in cui finzione letteraria e funzione documentaria si implicano, a ogni pagina, direi a ogni riga. In breve, fiction e docufiction». Descrive «il dispositivo Gomorra una macchina di scrittura che produce un certo effetto di verità. A ogni pagina la realtà romanzesca è romanzo della realtà e viceversa. Se ci si interroga sulla verità del racconto, ci si dirà che stiamo leggendo un romanzo. Ma se si solleva il problema della scrittura romanzesca, si risponderà che conta soprattutto la realtà raccontata». Roba da Sant’Uffizio.E, soprattutto, sottolinea come nell’opera di Saviano la camorra sia «male assoluto, non relazione o forma politica. Nell’assenza del politico in questa “indagine” sulla camorra vedo la manifestazione di una retorica morale consolatoria e quindi un’ideologia: la bontà è tutta dalla parte dello Stato, in base all’opposizione assoluta Legge/Crimine». Ricorda la frase di Saviano su Maroni: «Sul fronte antimafia è uno dei migliori ministri dell’Interno di sempre». E, perfidamente, si diverte a fare il parallelo con la lezione sulla criminalità che regala il bandito brechtiano Mackie Messer ne L’opera da tre soldi.Dal Lago viviseziona il libro e ne analizza molti passaggi; definisce la vicenda Saviano-Gomorra «squisitamente nazional-popolare», si diverte a citare passi di Gramsci e Sciascia a proposito della presa della letteratura noir sul grande pubblico, cita monsignor Doni da Padova che paragona Sant’Antonio a Saviano (non il contrario), e conclude con la più violenta provocazione che da sinistra si possa fare, accostando il papà di Gomorra a Moccia come prodotti della letteratura ai tempi di Berlusconi, e quindi scelti da chiunque legga un solo libro all’anno.Come ha scritto il direttore Marco Demarco sul Corriere del Mezzogiorno (dove peraltro Saviano ha scritto i suoi primi articoli sulla camorra), «il caso c’è tutto. Tra gli intellettuali di sinistra, prima, solo Alberto Asor Rosa aveva avuto l’ardire di escludere Saviano dalla sua Storia europea della letteratura italia».Insomma, per concludere, alla prossima cena fatevi trovare preparati. Quando i vostri commensali faranno per accompagnarvi alla porta, tirate dalla tasca il libro di Dal Lago e fate notare che è edito dalla manifestolibri.


di Massimiliano Gallo (tratto dal Riformista)

lunedì 24 maggio 2010


Il calcio spiegato con le dita


23rd, mag, 2010
Stamattina arrivo a scuola con il piglio giusto: riposato, fresco e di buon umore. I ragazzi mi accolgono con l’indifferenza di sempre e con un insolito fragore. Sono distratti, la discussione è concitata. Capisco a volo: parlano di calcio. Non me ne intendo, ma sono ben disposto. “Vabbè, facciamo un gioco” dico conciliante. “Io faccio una domanda e voi mi date una risposta. Però così, come vi viene, senza pensarci sopra più di tanto. Siete pronti?… OK! “Qual è la prima cosa che vi viene in mente pensando al campionato appena terminato? Un’immagine emblematica, un’intervista, un gol, che ne so, una parata…” “Neanche per sogno!” risponde Sandrino dalla prima fila. Il petto gli si gonfia. Ha un fiocco nerazzurro sul grembiule. “Niente è alla pari con il dito di Mourinho verso il cielo catalano nella splendida notte del Camp Nou!”. La frase gli esce decisa, perfetta la pronuncia. Non è proprio quello che intendevo, ma non posso dargli torto. L’ho visto pure io al telegiornale e mi sembra giusto esultare dopo una vittoria. “Ma che staje a ddì?” risponde svelto Chicco alle sue spalle. “Vuoi mette cor pollicione der Pupone dopo er derby?”. Eccolo lì, il solito burino caciarone. Ogni volta che parla mi viene voglia di bocciarlo. Mi faccio spiegare. Ad occhio e croce mi sembra un tantino antisportivo. Faccio per dirlo ma non mi riesce.“Altro che pollice” dice Sandrino “Dovrebbe mettersi il medio in c…” lo fermo appena in tempo con la mano sulla bocca, ma è tutto inutile. In classe parte una risata collettiva. Volano carte, gessetti, penne e qualche smemoranda. Faccio una faticaccia immane per calmarli. Per convincere Chicco a stare al posto suo. E’ troppo esuberante ed un po’ bullo. Fosse per lui, verrebbe subito alle mani.“Non son mica gesti che si fanno” dice una vocina un po’ più indietro. E’ Susanna, una signorina tutta compita. Ha lunghissimi capelli neri che spiccano sul bianco candido del grembiule. Negli ultimi tempi parla pochino, mi sembra un poco in soggezione. “Zebina, per farlo ai nostri tifosi, si è beccato uno scappellotto!” “Artro ché. Un cazzotto glie dovevano dà a quer nero ‘nfame!” interviene ancora Chicco. “Basta così! Ho capito. Con voi non si può giocare. Ma poi, il calcio non si gioca con i piedi? E cosa centra questa storia della dita? “Lo sa che Ronnie ne ha soltanto due?” mi fa Silvietta tutta sorridente, mentre fa un gesto strano con il mignolo ed il pollice della mano a simulare, mi spiegano, l’esultanza di un fuoriclasse brasiliano. Quello con i denti di fuori che sembra Bugs Bunny con la parrucca di Bob Marley. “MAESTRO, guarda qua!” urla Armandino dall’ultima fila e mostra un dito indice tutto infagottato. “Oddio, e tu che cosa hai combinato?” chiedo un tantino impressionato. Ha l’aria da macchietta, una faccia come un palloncino e continua a masticare patatine. Mentre parla sputacchia dappertutto sui compagni. “No’tti preoccupare. Potta fottuna! Ce l’aveva pure il mistèr Mazzarri nella pattita col Bari e c’abbiamo dato due pappine!” Non ho capito, ma non ha importanza. Suona la campanella e il trillo mi rimbomba nella testa. Sono esausto. Penso che è giunta l’ora di staccare. Ancora pochi giorni e poi si parte. Tornerò più disteso e preparato i primi di settembre, ammesso che mi rinnovino il contratto. Meglio che non ci penso adesso, meglio che lo rimando sto dilemma. Però, se mi va bene, quest’altr’anno, giuro che tolgo il calcio dal programma.


di Gianluca Maria Marino

Grazie a Lavezzi siamo nel post-maradonismo


22nd, mag, 2010
Il fondamentale manoscritto di Osvaldo Soriano intitolato “Pensare con i piedi” dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che il calcio è soprattutto filosofia. Esiste una metafisica del pallone ed è per questo che la diatriba sulla natura ontologica del Pocho “Lavezzi” è la pietra angolare su cui poggia il piccolo edificio del Napolista. Max ha ragione: quante litigate sul tatuato Ezequiel in questi anni. Gallo, zemaniano di ferro che non crede nei singoli ma nel collettivo, ha sempre colto al volo ogni occasione per criticare il nuovo anarchico argentino. Al punto che non è riuscito a trattenere l’esultanza quando Diego lo ha escluso dalla lista per i mondiali. Primo errore: non si esulta contro un giocatore della propria squadra. A me sarebbe piaciuto vedere il Pocho in Sudafrica e la decisione di Maradona probabilmente mi farà ricredere sulla scelta di tifare Argentina. Ma questo è un altro discorso. La seconda questione posta dall’invettiva di Max riguarda la presunta “normalità” di Lavezzi: è un un buon giocatore, scrive. Qui il dissenso è ancora più profondo. Ovviamente Lavezzi non è Maradona e non lo sarà mai. Eppure ha già un enorme merito agli occhi di noi tifosi: ci ha fatto uscire dal tunnel baudelairiano della nostalgia infelice per el Pibe de oro, uno spleen senza tempo, per approdare finalmente a una serena memoria storica condivisa. Insomma, il passaggio decisivo dal maradonismo al post-maradonismo. Tutto questo è riconducibile a un preciso momento. Poco dopo le dieci di sera del 18 ottobre del 2008. Era il trentaquattresimo del secondo tempo di Napoli-Juve. Hamsik agganciò la sfera e tentò di chiudere il triangolo con Maggio, posizionato sul limite sinistro dell’area di rigore bianconera. Knezevic intercettò il pallone, facendolo però carambolare sulle cosce di Ezequiel Ivan Lavezzi. Quattro passi e gol. Di destro. Due a uno. Lì, el Pocho ha legato il suo destino al nostro. Perché un gol decisivo alla Juve miscela sempre cronaca e fato. Quel giorno ho capito che avevo realizzato la mia “Bolognina” di tifoso. Una piccola svolta per non vivere più nell’eternità del rimpianto. E i fatti sinora mi danno ragione: Lavezzi è un giocatore completo. Segna con entrambi i piedi e ha uno scatto fulminante. E nel disastroso girone di ritorno dell’ultimo anno di Reja, fu il solo a salvarsi, dando sempre l’anima. Per me è l’unico leader possibile di questo Napoli. La rivalità atavica tra stabiesi e sorrentini mi impedisce di vederlo in Quagliarella e Hamsik è troppo freddo per esserlo. Ma torniamo alla filosofia, per sgombrare il campo dagli equivoci metafisici. Maradona fu genio, Lavezzi è talento. Come spiega il mio ex coinquilino Giancristiano Desiderio nel suo “Platone e il calcio”, per comprendere Maradona bisogna far ricorso alla logica poetica di Vico, che privilegia le cose alle idee, i sensi alla ragione, la fantasia all’intelletto. Maradona è poesia pura, che precede il ragionamento. E’ il gioco che trascende i giocatori, direbbe Gadamer. Lavezzi, invece, è all’opposto. Quella sua corsa barcollante epperò veloce appartiene all’Idea platonica della Corsa e del Dribbling. E’ un calcio che può essere pensato e che si ripete sotto varie forme, un’identità dell’essere scandita dalle differenze dell’esperienza umana. In pratica, Lavezzi è tra Parmenide e Platone. Maradona no, va oltre l’Iperuranio. E’ appunto la poesia che viene prima della speculazione. Senza saperlo, Diego ha escluso dalla rosa per i mondiali un inconsapevole e convinto eracliteo: tutto corre, anziché scorre.


di Fabrizio d’Esposito

Pocho in nomination i reality e il pallone


14th, mag, 2010
In principio fu “Campioni”, astuto reality sulle vicende pseudosportive di una squadra di dilettanti, rigorosamente televotata dal pubblico a casa e dignitosamente teleallenata dall’estroso “campione del mondo” Ciccio Graziani. Più tardi toccò a Francesco Coco rilanciare l’insolito connubio, abbandonando il mondo del calcio per diventare naufrago sulla “famosa” isola della Ventura. I risultati, tutt’altro che confortanti, stroncarono prematuramente la singolare esperienza, nonché i rapporti decisamente strampalati tra il gioco più bello del mondo e il genere televisivo più chiacchierato degli ultimi anni. Almeno fino ad oggi…Oggi, le modalità e i tempi con i quali si selezionano le rose destinate al Sud Africa, ci ripropongono una curiosa relazione tra i due mondi e qualche scherzosa riflessione non troppo azzardata sull’argomento. Scene da reality ci arrivano dal Brasile, dove l’imperatore Adriano, trombato eccellente, è scoppiato in lacrime al capezzale del suo agente, facendo appello al Flamengo affinché assicurasse l’ausilio del terapeuta sociale. Dall’Italia, l’esclusione per Le Grottaglie amplifica la crisi mistica del calciatore che dal confessionale, contestualmente, ringrazia Dio e smadonna Lippi ed il suo entourage. Dalla Casa del Pupone, Totti si affida al classico ”No comment” per esorcizzare la sacrosanta esclusione per motivi disciplinari e intanto si regala uno smartphone nuovo di zecca e con abbonamento alla Tv digitale. Per il resto, tipici inciuci e soliti litigi. Qualcuno si autoesclude adducendo misteriosi motivi personali, qualche altro più determinanti problemi fisici ed inesorabili invadenze anagrafiche. Denis se la prende con Mazzarri, Riquelme con quell’antipatico di Maradona e Bridge con quella zoccola della moglie. I Napolisti organizzano il televoto per Lavezzi ed il Pocho, per il momento, non va in nomination. Tutto è rimandato alla prossima puntata, alle prossime esclusioni ed il Thrilling, come ogni reality che si rispetti, si rinnova di settimana in settimana. Che c’è di male? Si rischia forse qualcosa? Per gli altri paesi nulla. Per l’Italia, comunque, niente di grave. Il massimo che può capitare e di trovarsi Emanuele Filiberto centravanti della nazionale.


di Gianluca Maria Marino

Festa della mamma: E Walter scrisse a Edda


9th, mag, 2010
Sono stanco. Sono sette mesi che lavoro ininterrottamente. Mercoledi, sabato, domenica. Mai una sosta, mai un giorno di festa. Avrei bisogno di una vacanza, Mamma. Quindici, venti giorni per ricaricare, non di più. Non come l’anno scorso che il tempo passava e non vedevo l’ora di tornare. Lo sai, per me il lavoro è tutto, neanche l’immagino senza come si può stare …Ma nemmeno mi sento un granchè bene. Ho un principio di sciatica, il naso chiuso. Sarà la stagionale, sarà il freddo che prendo sul lavoro. E’ certo, che c’hai ragione quando mi dici di fare attenzione, di non scoprirmi troppo. Ma che ci vuoi fare? …Lo so, dovrei cambiare aria. Avvicinarmi a casa, a te. Accettare qualche offerta più a nord, dove tutto è più facile e di certo non devi sempre sudare per raggiungere certi risultati. Ma perché cambiare? Qui la gente mi vuole bene e ho un ottimo rapporto con il principale. Tutti sono contenti del mio lavoro e nemmeno si guadagna male. E poi c’è il mare…Dio, come farei senza il mare…Pure tu, Mamma adesso, sotto sotto, sei contenta. Lo leggo nei tuoi occhi. Anche se non lo dici mai, ed è normale. Perchè non ci vediamo spesso e raramente mi viene a trovare. Come oggi che è la tua festa e io devo lavorare. Ma perché la festa della mamma viene sempre di domenica? Come se non valesse la pena, per le mamme, sospendere le lezioni, inserrare le fabbriche, chiudere i campi. Possibile che in Europa ci sia piu’ rispetto per le Befane?…No, Mamma. Non ti arrabbiare. Questo sarà comunque un giorno speciale. Oggi, se vinciamo, ti porto in Europa, Mamma. E non soltanto al ristorante a mangiare. Tuo, Walter.


di Gianluca Maria Marino

Hamsik e i tifosi scintille per la macchina


7th, mag, 2010
L’affetto spesso travolge. Talvolta dà fastidio. E se arriva a mettere in pericolo l’incolumità della tua macchina, allora fa addirittura arrabbiare. Erano in trecento all’esterno di Castelvolturno per salutare gli azzurri al termine degli allenamenti. Tutti disponibili gli azzurri. Uno, due, tre, quattro autografi, poi finestrino alzato e via. Fin quando non sono arrivati i big. E qui la gente ha cominciato a perdere la testa, a esagerare, perché è volato anche qualche calcio alle macchine che non si fermavano o che partivano dopo poco che si erano fermate. Qualcuno ha colpito anche la macchina di Hamsik che ha affrontato a muso duro i tifosi che attorniavano la vettura prendendo anche il giusto per il peccatore. Minuti di tensione, poi fortunatamente tutto è andato liscio.


da Il Napolista

Bennato al concertone grida Viva il Pocho


4th, mag, 2010
Sabato pomeriggio. C’è la Roma che si gioca lo scudetto e c’è papà che tifa Inter e deve gufare. Mi sintonizzo sulla diretta, ma lo schermo è nero e il canale “criptato”, come suggerisce, infame, la didascalia. Provo con lo zapping per verificare l’efficacia dell’abbonamento: Rai1, Rai2, Rai3…”IDIOTA!” – è papà, e si capiscesubito che siamo legati – “Devi provare con la “Peiperviù!”. Non sento, non premo, non cambio più, sul “terzo” c’è il Concertone del Primo di Maggio, sul palco Bennato Edoardo, cantautore nato a Napoli, Napolista. “In prigione, in prigione!” dice la canzone. Sembra un pezzo di Carlo Faiello (napoletano pure lui) di vent’anni fa.Penso che i tempi sono cambiati, i politici pure, ma la speranza degli italiani è sempre la stessa, e chissà perché. Bennato si appassiona, urla, sbraita, inveisce. Esagera. Sul palco di San Giovanni fanno capolino i carabinieri, due pezzi di ufficiali “padani” in alta uniforme. Il Ministero, stavolta, ha fatto le cose in grande, che serva da lezione a “quei comunisti, pancabbestia, poco di buono!”. Bennato viene trascinato via dal palco, altro che Faiello, mò mi ricorda Jim Morrison, il Re Lucertola. Anche lui reclama, strattona, resiste, ma è piccolino, “curt e nnire!” direbbe Pietra Montecorvino da Napoli (Gesù!), e deve mollare. Ma prima si smarca, si sbraccia, si sforza, grida: “viva l’unità, viva Chuck Berry, VIVA IL POCHO, viva l’Italia!!!”.“Cretino!” – interviene di nuovo mio padre e parte pure lo scappellotto dalle retrovie – “Ma non lo vedi che è tutto falso!…Sono solo canzonette!” Sarà, ma provate a raccontarlo al Pocho, adesso che è pure “simbolo” del 1° maggio.


di Gianluca Maria Marino
Venghino signori al gioco del Calciomercato

29th, apr, 2010
Signore e signori benvenuti al mercato. Il Napolista ha fatto un gioco. Da quando siamo nati abbiamo indicato nella sezione il Napoli 2010/11 tutti, quasi tutti perché non siamo onniscienti e qualche nome ci potrà anche essere sfuggito, i giocatori che sono stati accostati al Napoli. Ad oggi sono 43 e il mercato ancora deve entrare nel vivo soprattutto perché fino a domenica scorsa il Napoli non era ancora sicuro della posizione di classifica che avrebbe occupato al termine del campionato. Ora no, ora è diverso. E allora proviamo a fare una pole position dei nomi.Il primo è sicuramente Gokhan Inler. Un centrocampista alla Gargano dai piedi migliori. E se arrivasse questo svizzero di origine turca, avremmo il nostro Turco-napoletano e Totò potrebbe essere contento. Si tratta su 15 milioni e la prosa di Antonio Giordano ce lo racconta così: “piedi allo zucchero filato, petto in fuori e lancio millimetrico è di nuovo in pole position nella lista di gradimento della triade De Laurentiis-Bigon-Mazzarri, un desiderio da appagare a suon di euro però attraverso una trattativa complessa da definire possibilmente in fretta. Inler è la tentazione di sempre, un principe della metà campo che danza palla al piede, aspetto regale a sostegno d’una poliedricità indiscutibile: è mediano d’interdizione, mezzala di spessore ma all’occorrenza persino play maker”.Dimentichiamoci Balotelli nonostante le sirene. Difficilmente il presidente De Laurentiis sarebbe disposto a sborsare diversi milioni d’ingaggio per una scommessa diciannovenne nonostante Mazzarri abbia sempre saputo gestire i campioni maledetti. Napoli e Inter potrebbero accordarsi per Rene Khrin corazziere che non ha trovato spazio nel centrocampo di Mourinho. La contropartita? Siamo proprio sicuri che Hamsik il prossimo anno giochi nel Napoli? E in attacco? La punta da venti gol? Beh, Denis sembra possa rientrare nella trattativa Inler mentre difficile che arrivi Amauri di cui anche si parla. L’afrotedesco Mlapa potrebbe essere seguito da Bigon per il prossimo anno. Nomi, tanti nomi. E pensare che in poco più di un mese siamo arrivati già a 43. Ora spazio ai commenti. Tanto un nome in più, un nome in meno, non lo si nega a nessuno.Ah, dimenticavo. Nel gioco del calciomercato De Laurentiis non ammette deroghe alle sue regole: i diritti d’immagine sono tutti suoi e gli ingaggi hanno un tetto, con Quagliarella che guadagna 1,9 milioni l’anno ed è lo stipendio top. Tutto il resto è relativo.


di Gianluca Agata
Gianca’, ’e notizie so’ rotture ‘e cazzo(da Fortapàsc, il film di Marco Risi
su Siani,giornalista del Mattino ucciso dalla camorra)

Il Napolista è una testata giornalistica in attesa di registrazione, fondata da Massimiliano Gallo (Napoli, 1970) e Fabrizio d’Esposito (Vico Equense, 1966) sono due napoletani emigrati a Roma. Le loro carriere di giornalisti e di “malati” del Napoli si sono incrociate al quotidiano Il Riformista nel 2004, dove ancora oggi lavorano: Gallo è vicedirettore, d’Esposito inviato di politica e cronaca. Sin dai tempi della serie C, hanno iniziato insieme un giro d’Italia degli stadi per seguire gli azzurri. Per loro è una trasferta anche quando il Napoli gioca in casa. Hanno sfidato il destino scegliendo di essere napoletani a Testaccio, il quartiere più giallorosso della Capitale. Spesso litigano sulla natura ontologica del Pocho Lavezzi, argentino come l’Altro che apparve per la prima volta a Napoli il 5 luglio 1984. L’idea del Napolista è stata partorita nel viaggio di ritorno da Siena a Roma il 21 febbraio scorso, dopo uno zero a zero fatto di freddo e noia. Del resto i pareggi hanno un loro fascino torbido e misterioso, antidoto a ogni manicheismo. Tra un giorno da leone per la vittoria e i cento da pecora per la sconfitta, Massimo Troisi scoprì genialmente che ce n’erano cinquanta da orsacchiotto.

I napolisti sono: Emanuele Macaluso (direttore de Le ragioni del socialismo), Luigi Compagna (senatore della Repubblica), Riccardo Villari (senatore della Repubblica), Guido Trombetti (rettore dell’Università di Napoli Federico II), Vincenzo Siniscalchi (consigliere del Csm), Maurizio de Giovanni (scrittore), Claudio Botti (avvocato, fondatore del Te Diegum), Federico Geremicca (inviato della Stampa), Antonio Polito (direttore del Riformista, amico interista), Jacopo Tondelli (giornalista e scrittore, amico milanista), Raffaele Bracale (linguista), Rino Riccio (barbiere di Marek Hamsik), Ilaria Puglia (napolista e madre), Guido Paglia (direzione delle Relazioni esterne della Rai, amico laziale), Mimmo Liguoro (giornalista Rai), Francesco Raiola (giornalista, un napolista a Parigi), Giulio Picolli (un napolista a New York), Massimiliano Amato (giornalista), Giuseppe Pedersoli (ex difensore Civico Comune di Napoli), Massimo Restano (avvocato di Parma, fondatore di club Napoli), Fabrizio Cappella (giornalista Rai), Gianluca Agata (giornalista), Donato Martucci (giornalista), Francesco Nardi (webmaster).